La Pattuglia Brownsea: come nasce un Reparto
Dimenticate le tre, quattro o anche cinque Pattuglie a cui assegnare incarichi, i due o tre Vice di supporto, i lupetti che passeranno l’anno prossimo e anche i grandi giochi di Reparto.
Anche nello scoutismo le frontiere sono selvagge, aspre e soprattutto solitarie. Eppure è lì che nascono le storie più avventurose, dove futuri Capi Reparto e aspiranti Esploratori si mescolano in uno scoutismo di strada (concedetemelo) più intenso perchè pieno di aree da esplorare, di trappole, delusioni e soddisfazioni.
Ovunque non ci sia esperienza di scoutismo, anche dietro casa, lì, dove non esistono (ancora) Branchi procaci di Lupetti passanti, vive la sua avventura il CR di “frontiera”: figura borderline di uno scoutismo che si espande.
La mia prima esperienza da CR “di frontiera” è stata nel 2008, insieme ad un VCR anche lui di frontiera. E’ iniziata volantini alla mano nelle scuole, nelle classi di catechismo, nelle contrade e nelle piazze di un paese diffidente e senza scout, alla ricerca di Esploratori per il Reparto: alla prima riunione due Esploratori costituiscono la Pattuglia Brownsea. Nei mesi successivi se ne aggiungo altri quattro.
Chiariamo le caratteristiche: non c’è un chiaro sistema di Pattuglie da applicare né riti già collaudati da seguire. Nella Pattuglia Brownsea, di fatto, il Capo Pattuglia potreste essere voi e sta a voi tracciare il sentiero verso il Reparto, individuando il futuro CP e aiutando i ragazzi a distribuire incarichi e posti d’azione.
La prima difficoltà: il conformismo e la pressione sociale. L’ostacolo più grande che minaccia la Pattuglia Brownsea in un territorio di frontiera, specialmente in provincia, è il muro di gomma della comunità, specialmente giovanile. L’esploratore è, per pregiudizio, un bambino cresciuto che si esprime in un modo diverso dai sex simbol, che pensa al gioco piuttosto che al lavoro e ai bei vestiti, che si diverte in strani canti ballati. E la pressione sociale si tramuta facilmente in derisione, esclusione e mancata collaborazione: non ve la prendete se c’è un alto tasso di ricambio… in frontiera è normale, c’è chi viene e chi va.
In ognuno, oltre al bisogno di appartenere ad un gruppo1, con il bisogno di essere accettato, c’è la volontà di essere importanti2. Allora, di primaria importanza sono i riti, l’ideazione di tradizioni e di un’ambiente affascinante (in quello che era, per storia, il paese dei briganti, perchè non trasformare la Pattuglia B. in un drappello di nobili Briganti combattenti per la libertà contro il male imperante che sta conquistando gli altri?).
In tutto ciò il compito del CR di frontiera è quello di testimoniare con orgoglio: vestendo l’uniforme con onore, facendola amare anche vantandosene, dando significato e valore alla propria opera, accompagnandola con l’avventura, la gratificazione, la tecnica e un ambiente emotivo adatto. Il buon CR di frontiera deve in sintesi diventare l’eroe della sua Pattuglia, dando l’esempio e trascinando, senza rinchiudersi in sede ma vivendo le sfide di piazza, giocando, vincendo, entusiasmando, coinvolgendo e rassicurando.
Seconda difficoltà: poche mani, tanta fatica. Se siete tipi da ampia delega, la Pattuglia Brownsea non fa per voi: bisogna rimboccarsi le maniche. In una Pattuglia Brownsea ognuno è indispensabile, a ciò si fa caso al momento dell’appello: è facile farsi scappare un “siamo solo in quattro”, ricordandosi poi che nel totale gli esploratori sono cinque. Il bisogno di successo3 va soddisfatto, così la regola d’oro è: mai rimandare una riunione perchè manca qualcuno, mai sconfortarsi perchè si è “solo in…”. Si rischierebbe di sfiduciare gli esploratori a cui invece va sempre distribuito ottimismo e coraggio. In questa fase programmare bene le riunioni è indispensabile, puntando tutto sul trapasso delle tecniche – da voi (CR) a loro (esploratori) –, sull’educazione spirituale, cioè sulla ricerca del significato e del valore di ciò che si fa (che permette di rafforzare la Pattuglia e scavare una trincea che la protegge dalla pressione sociale), sulle attività con altri Reparti già formati, sulle escursioni naturalistiche “per pochi eletti”. Anche se in pochi vale la pena prospettare la formazione di due Pattuglie, la nomina di “luogotenenti”, di vice e di capi, l’impostazione di una progressione con relativi distintivi. Niente deve essere a caso: l’organizzazione ha un suo fascino sempre, anche per piccoli esploratori di 12 anni. E poi, diciamocelo, piccoli ma nemmeno tanto: “Attendetevi molto dai vostri ragazzi, e in genere l’otterrete”4.
Terza difficoltà: reclutamento. Mai accontentarsi: se quando mancano tre persone su cinque “siamo addirittura due”, quando arriva il sesto “puntiamo agli otto”. Un recente studio scientifico5 ha dimostrato che i ragazzi, in vista di un premio, affrontano un rischio più volentieri di un adulto. E allora promettiamo (e consegniamo) premi e riconoscimenti in cambio di nuove reclute! Che comunque, visti i pochi componenti, vanno conquistate una ad una, con entusiasmo ed avventura. Insomma la cosa da fare è chiara: muoversi su tutto il fronte, conquistando e coinvolgendo, per quel che possono fare, prima di tutto i genitori e gli adulti che abbiano un qualche ruolo sociale e che fanno opinione; organizzare e partecipare a competizioni aperte a tutti, tornei, cacce al tesoro, concorsi, corsi tecnici, dimostrazioni e chi più ne ha più ne metta per mantenere alta l’attenzione del pubblico. Chi dorme, anche nello scoutismo, non piglia pesci. In tutti i casi va data autonomia alla creatività dei ragazzi: reclutare è più semplice per loro… il CR pensi alle mamme e ai papà.
La trappola: crogiolarsi nel successo. Se sta andando tutto bene qualcosa non va. Potrebbe essere effettivamente un buon momento ma potrebbe anche darsi che avete abbassato la guardia. In territori inesplorati è facile non rendersi conto della situazione: non c’è ancora un rapporto di fiducia con le famiglie, né le stesse tendono a fidarsi del tutto. Per evitarlo, una buona regola è ri-analizzare la situazione periodicamente e a fondo, verificando continuamente se la mappa mentale corrisponde al territorio sociale. L’autocritica è una “mano santa” e un buon “diario di bordo” aiuta a crescere.
Il trappolone: le relazioni sociali. In una zona che non conoscete, ogni uomo può essere lupo per un altro uomo. State attenti dunque a cosa fate e cosa dite, come lo fate e come lo dite. Esplorando una zona di frontiera il CR deve avere abbastanza plasticità per comprendere la matrice culturale6, le usanze e i modi di fare per comunicare efficacemente e farsi sentire. Se non si sta attenti a capire e rispettare le peculiarità culturali si rischia un buco nell’acqua o, peggio, l’esclusione sociale. Importante, in questo senso, è il rapporto con le famiglie: a loro va spiegato, il più chiaramente possibile, il metodo, i programmi e il senso delle attività.
Le soddisfazioni: se non demordete, presto avrete delle belle soddisfazioni. La prima: un Reparto compatto di Esploratori tenaci che credono in quel che fanno. La seconda: adulti che vi supportano e tra i quali, magari, qualcuno si fa anche avanti per darvi una mano. La terza: un qualche Akela che un giorno vi farà compagnia, assicurando al Reparto delle Zampe Tenere. La quarta: i passaggi in Clan.
Oggi quella Pattuglia è un Gruppo numeroso e un’altra Brownsea sta vivendo la sua avventura…
Luigi Biagi
1Cfr. Fondamenti di Psicologia – Darley, Glucksberg, Kinchla – Il Mulino, pag. 267: Il bisogno di affiliazione
2Ibid. pg. 270: Il bisogno di potere
3Ibid. pag. 269: Il bisogno di successo.
4Taccuino. Scritti sullo scoutismo, 1907-1940 (Baden-Powell). Ed. Scout Fiordaliso, pag. 43, già in “Headquarters Gazette” del settembre 1911
5Emily Barkley-Levenson e Adriana Galván (Università della California): http://www.lescienze.it/news/2014/01/14/news/cervello_adolescenti_maggiore_sensibilit_premio-1960541/?ref=nl-Le-Scienze_17-01-2014
6In termini ampi, vedasi: Territori di confine. Un incontro tra culture. Di Rutto e Verni in “Territori della psicologia dinamica” Carocci editore.