*(Sì, il titolo è volutamente ambiguo: magari qualcuno pensa si parli di pallone)
Sono appena tornata da qualche giorno di campo con il Reparto. Mi stupisce sempre come, con 15 anni di campi alle spalle, ogni estate torno a casa con le scarpe infangate, qualche livido e una quantità sorprendente di ispirazione.
Ieri, mentre mi riposavo dopo un pranzo cucinato su bidoni a legna, ho assistito a una scena che mi ha colpita. Una delle pattuglie, le Linci (età compresa tra i 12 e i 15 anni) stava cercando di gestire una quantità esagerata di cous cous avanzato.

“Non possiamo buttarlo” — dice Nic, il più grande del gruppo.
” Lo mangiamo a merenda o a cena?” – si chiede Sam?
“Mettiamolo in una pentola all’ombra, tanto non fa caldo…” – propone Gabri
Fin qui, normale spirito di adattamento i più piccoli iniziano a versare tutto nella pentola. Poi però succede qualcosa.
Uno dei ragazzi sta per aggiungere dei pomodori al piatto, quando un altro lo ferma al volo:
“Aspetta! Non possiamo, c’è Simo che è allergico al nichel!”
E così, senza alcun intervento da parte mia, iniziano a discutere sul come e sul perché conservare tutto, senza contaminare gli avanzi, nonostante la mancanza di contenitori e strumenti.
In due minuti trovano la soluzione: coprono la pentola con un piatto, poi con un coperchio recuperato da un’altra parte.
𝐇𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐢𝐧𝐝𝐢𝐜𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢.
Cucina improvvisata, zero strumenti, ma una consapevolezza e un rispetto per gli altri che raramente vedo nei contesti “adulti”.
Chi, nel nostro mondo, si prende davvero il tempo di trovare soluzioni inclusive, anche quando è scomodo e non ci sono mezzi?
Ogni volta che torno da un campo, mi porto a casa piccole grandi storie come questa. E mi chiedo: 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐬𝐞 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐛𝐫𝐢𝐜𝐢𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐬𝐩𝐢𝐫𝐢𝐭𝐨 𝐬𝐨𝐩𝐫𝐚𝐯𝐯𝐢𝐯𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐨𝐥𝐭𝐫𝐞 𝐢 𝐜𝐚𝐦𝐩𝐢, 𝐨𝐥𝐭𝐫𝐞 𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐨𝐮𝐭𝐢𝐬𝐦𝐨, 𝐨𝐥𝐭𝐫𝐞 𝐥’𝐚𝐩𝐚𝐭𝐢𝐚 𝐝𝐢𝐬𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐞𝐬𝐬𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨?